testata camel

Il titolo di questo post si riferisce a una discussione di su Fabula Letteratura relativa alla funzione dello scrittore, un'allusione che solo pochissimi erano in grando di cogliere già nel momento della pubblicazione di questo post, che di fatto risale a circa dieci anni dopo, figurati oggi che ne sono passati altri dieci. Mi sento come un'archeologa che tira fuori le cose strato dopo strato, le spolvera col suo pennellino morbido e le mette qui, a disposizione di chi le vuole rivedere che nulla sa dell'epoca in cui sono esistite. Questo reperto ha dei pezzetti mancanti, si tratta dei link al vecchio blog di Paolo Cognetti che non esiste più, ma come gli archeologi hanno certi strumenti che aiutano a far rivivere il passato, pure io ho la mia macchina del tempo che funziona piuttosto bene e ricostruscire le cose tali e quali agli originali. E Fabula? C'è! Edit 8 settembre 2017

la funzione del frullatore

Paolo Cognetti ha scritto tre post bellissimi sulla narrativa del reale, ovvero sul "ritorno della realtà nella narrativa contemporanea".

I tre post sono interessanti per i problemi che mettono in campo anche se, per una volta, non concordo pienamente. I primi due vengono spesi (a parte un inciso sulla definizione di Wu Ming 1 della New Italian Epic che varrebbe da sola un post, vediamo dopo), per cercare di definire cosa è il realismo in letteratura. Posto che il non realismo non è la narrativa di genere, in quanto comunque metafora del reale, e poste e scartate altre sei ipotesi, Cognetti butta sul tavolo il suo asso di bastoni, un fenomeno che ha segnato in un certo senso la narrativa italiana contemporanea, questo fenomeno si chiama Gomorra.

Dice: il ritorno del realismo, in questa nostra epoca, sembra avere strettamente a che fare con l'ibridazione tra fiction e non-fiction. Qual è il confine tra i due generi, se ce n'è ancora uno? Qual è il senso della finzione quando la realtà sembra già così urgente da raccontare? (...) Ma a parte Gomorra, e a parte la nascita e diffusione dei blog, c’è stata una novità dirompente nel campo della narrazione, in questi ultimi dieci anni, e noi che raccontiamo storie dobbiamo farci i conti anche se ci fa schifo: il reality show. Letteralmente, lo spettacolo della realtà.
Oh. ecco. Senza saperlo è quello che sto tentando di dire da giorni ai miei piccoli lettori. Cosa è fiction e cosa è reality? Se te lo devo spiegare io vuol dire che non sono stata abbastanza brava a farmi capire. Ma forse non è del tutto colpa mia, forse in parte la colpa è del mezzo: Cognetti dice: Nel blog l’autore si trasforma in personaggio, e si confessa usando strumenti narrativi. Ma però se io adesso scrivessi che stamattina sono uscita sul balcone di casa mia perché ero in ritardo per andare al lavoro e per fare prima sono saltata giù in strada dal quinto piano, nessuno si porrebbe il dubbio se è fiction o reality perché lo sanno tutti che abito al primo piano! Quindi non è nemmeno lo strumento completamente responsabile. A seconda di quello che racconto, chi mi conosce e anche chi non mi conosce nella vita reale può facilmente decidere se è realtà o fantasia, ma meglio, può decidere se è pertinente a quello che volevo dire il fatto che sia realtà o finzione. Del resto mi basta averne visto qualche piccolo pezzo agli esordi per rendermi convinta che non c'è niente di più fasullo dei reality show, che sono la cosa che più assomiglia al porno, con tutto il rispetto per il porno, per il fatto che in entrambi i casi non c'è una scelta a dotare di senso lo spettacolo, viene mostrato tutto tutto, anche i tempi morti, le scene inutili cioè vuote di senso.
E fin qui ci siamo, siamo insieme. Ma poi Paolino scrive "Trovo che l’ironia abbia infestato per troppo tempo la nostra produzione letteraria (anche se, naturalmente, difenderei con il sangue il diritto di ridere)" e qui, scusa, mi devo prendere una distanza. Non è mica per il diritto di ridere, anzi. Delle volte si tratta di piangere, pensa te. Ma. La circostanza che ci possa essere chi non ha fatto buon uso dell'ironia non mi pare una buona ragione per eliminarla del tutto. Come voler eliminare certe parole: c'è un mio amico che non può sentire la parola intrigante, va bene, meno male che non deve mai raccontare i fatti successi alla corte dei borgia, lui. Insomma, quello che voglio dire è che l'ironia, proprio perché elimina il superfluo, creando corto circuiti di senso, rende la narrativa diversa dal reale nudo e crudo fornendole una maggiore profondità di senso. Che, scusate se ribatto su qualche cosa che avevo già scritto qualche post fa, è quello di cui abbisognamo oggi: una scorta di senso.

(Cosa c'entra il frullatore? c'entra, c'entra.)

Commenti al Post: La funzione del frullatore

sonouncantastorie il 04/11/08 alle 15:52 via WEB
Hey, cara, sei tra i blog rilevanti :)

LaDonnaCamel il 04/11/08 alle 17:08 via WEB
maddai? proprio oggi che mi è andata via la luce, uffa, adesso non ci sono più!

sonouncantastorie il 06/11/08 alle 16:47 via WEB
Ho salvato una jpg, interessa? :)

LaDonnaCamel il 06/11/08 alle 17:03 via WEB
Sei un tesoro! Me la mandi?

sonouncantastorie il 07/11/08 alle 12:20 via WEB
Inviata ad aiasoft e gmail.

Tapiroulant il 06/11/08 alle 20:02 via WEB
Non capisco perché la commistione tra il "vero" e la fiction debba apparire sinistro o ripugnante. Un prodotto del genere si distingue nettamente dalla realtà, come qualcosa di differente, per sua stessa natura: innanzitutto, ha un inizio, uno svolgimento e una fine, cosa che manca alla realtà. Ma soprattutto, la "docufiction" presenta dietro di sé un'intenzione; una mente che vuole mostrare qualcosa, un progetto. Non si può concludere brutalmente dicendo che raccontare il vero mediante la fiction serve ad "attrarre il pubblico e vendere di più". Non è questo il punto. Il punto è che in questi racconti si sfrutta la realtà per dire qualcosa; qualcosa SULLA realtà. Che la realtà sia quella del reality show o di Gomorra, sempre ciò che viene fatto è estrapolare una serie di episodi del reale e conferirgli un senso che non esisteva. Se infatti la realtà di per sé non ha un senso (perché non inizia, non finisce, non tende verso uno scopo), è proprio l'estrapolazione e il rinchiudimento di determinati momenti di questa realtà, a darle un senso, qualsiasi esso sia. Con lo spettacolo della realtà, come Cognetti lo chiama, non si fa altro che prendere un pezzo di realtà e dire: "ecco, io dico che la realtà è questa, e ha questo e questo significato". E può piacerci o meno, questa interpretazione della realtà; nondimeno, è un'interpretazione come qualsiasi altra.

Anonimo il 06/11/08 alle 20:56 via WEB
"E può piacerci o meno, questa interpretazione della realtà; nondimeno, è un'interpretazione come qualsiasi altra." Preciso e conciso, non si può dire niente. Hai ragione.

Tapiroulant il 06/11/08 alle 22:28 via WEB
Grazie xD E aggiungo un'altra cosa: non penso che nei reality non ci sia nulla di vero. Anzi c'è molto di vero. I reality sono lo specchio della cultura italiana di massa, perché gli spettatori si identificano in coloro che osservano, ne riconoscono gli atteggiamenti, e quindi se ne interessano e appassionano (o lo criticano spietatamente, poco cambia). Per collegarmi a quello che ho detto nel mio blog, il reality, che sia sincero o pilotato, mette in mostra degli Everyman simbolo della nostra cultura.

 

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