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Le avventure di Nonugo è un progetto che per ora si compone di cinque pezzi che metto in questo post tutti di fila, coi commenti in fondo. A dire la verità, dopo una spinta iniziale mi è mancata l'urgenza e non sono più andata avanti, ma non è detto che non lo riprenda prima o poi, se trovo una motivazione allettante o un buon contratto editoriale. È una storia antica o anche solo vecchia, di quelle che mi invento a partire da un particolare che ho saputo dai diretti interessati o da altri, dunque se credi di riconoscere qualcuno che è veramente esistito ti sbagli, le vecchie storie si assomigliano tutte e io le racconto così come mi viene. La foto è presa da internet e mostra il personaggio storico che stavo per far entrare in scena quando mi sono fermata: indovina?

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Mi sto girando nella testa un personaggio, una bella sagometta te lo dico io. Uno che se fosse ancora vivo (ma non ho detto che sia morto) uno che se fosse vivo sarebbe sui novanta adesso, perché è nato negli anni venti. Ne sa di storie questo qua, da riempie uno scaffale se ha voglia.
Dico uno per dire, che potrebbero anche essere molti, ma se dico uno ho le mie ragioni.
So anche il nome ma adesso non mi va di dirtelo, sappi che non è Ugo: con questo ti puoi già fare un’idea perché Ugo è un conto, non Ugo tuttaltro.

Nonugo si ricorda ancora delle robe di sua nonna, si va un bel po’ indietro, saranno robe che nessuno oggi te le potrebbe raccontare di prima mano ma solo di seconda o di terza, come sto facendo io del resto, robe che potrebbero anche essere state vere.
La nonna di Nonugo metteva il vino nella minestra, per esempio. Quel brodo di gallina vecchia con tutti gli occhi di grasso a galla che fa venire i brividi solo a vederlo. Ci metteva dentro un bel bicchiere di rosso e ti assicuro che, a parte l’aspetto inquietante, era buonissimo, credimi sulla parola che ho le mie buone ragioni. Aveva anche uno strano modo di condire l’insalata: faceva soffriggere nel padellino un po’ di lardo e lo buttava sopra al radicchio, se ce l’aveva il radicchio, se no andavano bene le foglie bislunghe di quei fiori gialli che poi diventano soffioni, non mi ricordo come si chiamano ma lo sai (sto scrivendo a mano su un pezzo di carta, sono a casa e non ho voglia di andare in studio e accendere il mac per domandare a wikipedia).
Quelle foglie sono amarissime a mangiarle così, si devono prendere solo le più tenere e si devono tagliare fini fini e poi lavare tante volte nell’acqua per portare via i succhi cattivi. Invece dell’olio e dell’aceto ci butti sopra quel soffritto che ti ho detto e non serve neanche il sale. Dicono, perché questo non l’ho provato. È che la nonna di Nonugo stava in campagna, il sale e l’olio bisognava comprarlo con i soldi invece il maiale veniva su da solo e anche le erbe.

Nonugo da giovanotto è andato in Argentina a cercare fortuna, non sto qui a raccontarti adesso il perché e il percome, immaginatelo già là. Siccome era uno che le cose le sa, aveva preso al volo il primo lavoro che aveva trovato che alla fortuna bisogna andargli incontro: scaricava i barili al porto di Buenos Aires. Un lavoro da bestie insieme alle bestie, dalle quali Nonugo si distingueva indossando camicie di seta. Lo chiamavano il dandy, ma con rispetto: i suoi pugni avevano imparato la lingua del posto prima di lui. Me lo immagino che arranca sulla banchina, il fazzoletto sulla spalla a proteggere la sua bella camicia dal barile. Il capo lo vede dal gabbiotto e sbatte due volte gli occhi, esce lasciando la porta aperta e gli si avvicina, gli cammina a fianco, chinandosi per guardarlo in faccia gli domanda se, quel damerino, per caso sapesse anche leggere e scrivere. Nonugo era laureato.

 

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Nonugo era laureato in agraria. Aveva potuto studiare grazie a una zia facoltosa perché il babbo era morto quando lui era bambino e la mamma riusciva a malapena a sfamarli. Era il minore di sette fratelli e sorelle, lo chiamavano poleciut. Quando era piccolo assomigliava davvero a un pulcino, con tutti quei capelli biondi fini fini che d’estate, a correre tutto il giorno per i campi, diventavano ancora più chiari, quasi bianchi come la scorza delle pannocchie.
La sua carriera di scaricatore era già bella e finita in un ufficio a riempire i moduli e i registri della Compagnia. Numeri su numeri da far venire il mal di testa. Non che Nonugo fosse dispiaciuto, non subiva per niente il fascino romantico della dura vita del porto, era un tipo concreto che badava al sodo. Per questo aveva deciso di scrivere al parroco del suo paese in Italia.
Lavorava senza concedersi tregua, senza una distrazione. Alla sera studiava lo spagnolo per migliorarsi.
Abitava in una stanza a pensione da una vecchina, una signora curva come un giunco sull’acqua, con le mani nodose da strega ma gli occhi gentili che nella sua andatura stortignaccola portava una certa aristocratica fierezza. Era una bella casetta pitturata di azzurro, tutta su un piano con intorno un piccolo giardino polveroso. Nonugo le tagliava l’erba e le potava le siepi - uno sforzo di Sisifo arginare la giungla che a dicembre cercava di avere la meglio sull’ordine pretenzioso e già piccolo borghese a cui aspirava la padrona di casa. In cambio di questo extra in natura alla pigione aveva il permesso di consultare qualsiasi volume della biblioteca che era stata del marito di dona Angelica Ocampo Aguirre.
La stanza era sempre in penombra, mai gli scuri venivano aperti per non rovinare i tappeti e la grande poltrona di cuoio, unico mobilio oltre agli scaffali che ricoprivano due pareti intere, dal pavimento al soffitto.
Nonugo si prendeva un libro a caso ogni sera, lo sceglieva nel buio come una sorpresa o una promessa, se lo portava in camera da letto e leggeva qualsiasi cosa per metà della notte. Dopo due o tre ore di sonno si alzava, faceva la sua ginnastica mattutina, il bagno nella vasca di zinco, la barba davanti allo specchio a tre ante, riponeva il libro nel punto preciso dello scaffale da dove l’aveva preso e andava al lavoro profumato di vetiver.

le avventure di nonugo - Borges e la biblioteca

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Per quanto fosse senza dubbio una persona abitudinaria e metodica, di quando in quando Nonugo si concedeva uno strappo ai suoi rituali. Cambiava allora il percorso che dalle banchine lo portava al quartiere periferico della sua abitazione. Camminava tra un labirinto di giardini sconosciuti, aveva modo di guardare attraverso le siepi di ligustro le case, dipinte a colori tenui, quasi tutte a un piano, col patio ombreggiato e le persiane accostate. Oppure, invece della carne fredda sopra una fetta di pane che costituiva la sua cena solita, entrava in una taverna e mangiava un asado di manzo al peperoncino piccante, innaffiandolo con un boccale di birra fredda e schiumosa. Quelle sere rimaneva a lungo seduto al tavolo a osservare gli altri avventori, soprattutto le donne – ma solo se era un locale di basse pretese. Rispondeva ai sorrisi ma restava per conto suo e quell'allegria di breve durata si stemperava in malinconia già nel tragitto verso quella che chiamava casa per convenzione mentale. Si fermava allora a guardare nel cielo nero quelle stelle tutte sbagliate e pensava che non si sarebbe abituato mai. La Croce del sud non valeva un'unghia di Orione d’inverno dopo una giornata ventosa e casa, casa era un altro luogo, purtroppo.
Non passava per la biblioteca della vedova, in quelle sere meste filava diretto nella sua stanza a rileggere le lettere dei parenti, per dare concretezza ai ricordi e per convincersi che sarebbe tornato prima o poi. Anzi presto. Presto e ricco. (Intanto il parroco tardava a rispondere. Non perdiamo la speranza, si diceva lui, ci vuole tempo per certe cose).
Prendeva la bibbia in spagnolo, l'unico libro di sua proprietà che aveva portato dall'Italia e ne rileggeva dei brani, come aveva fatto sulla nave per darsi i primi rudimenti della lingua. La cacciata dal paradiso terrestre era uno dei suoi preferiti, gli rinforzava l'animo e gli riportava all'attenzione i motivi per cui era qui. Erano salmi che aveva letto molto anche in italiano e gli erano stati di grande aiuto per imparare le lingue. Usava la bibbia come una stele di rosetta, l'aveva fatto prima di andare a Lione dal cugino di suo padre, sebbene gli avesse dato una visione piuttosto arcaica del francese, che peraltro già era arcaico di suo. Questo non era importante, Nonugo non era uno che desse troppo peso ai particolari. E poi aveva notato che certe parole desuete provocavano benevolenza negli interlocutori adulti e sorrisi nelle ragazze, quindi tanto meglio.

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E’ domenica mattina. Il cielo è velato, più bianco che grigio. Nonugo annusa l’aria ferma, non arriva la brezza dal mare, oggi sarà una giornata calda, si capisce già da adesso. Si è fermato un momento per asciugarsi la fronte con il fazzoletto, si è appoggiato al bastone della falce e sta lì a pensarci su. Ha quasi finito il prato davanti, vale la pena di fare anche dietro oppure per oggi basta, è meglio fare subito il bagno e andare a messa? C’è un silenzio che anche i grilli sembrano smorti. Non arrivano voci dalla strada, gli uccelli non si sentono. Eppure è chiaro da un pezzo.
Guarda in alto e con la coda dell’occhio vede dona Angelica già in mezzo al sentiero di pietre bianche. Avanza pian pianino, regge un vassoio con le due mani tenendolo scostato in avanti. Le corre incontro e in tre salti è lì. Le prende il peso, c’è un bicchiere d’acqua gelata per lui. Il vassoio è d’argento e sotto il bicchiere, un centrino di pizzo.
Come si fa, pensa Nonugo, con queste cortesie a non finire il lavoro subito, presto e bene?
Vuota il bicchiere in un sorso solo, sotto gli occhi di lei che sorride e fa sì con la testa. Ha un cappello di paglia e un vestito azzurro lungo fino alle caviglie, ha lasciato il suo bastone vicino alla porta. Nonugo parte in corsa per andare a prenderlo, con una irruenza che le fa volare la seta della gonna.
“Cosa ha letto di bello ieri sera?” gli chiede accettando il bastone.
“Ho iniziato quel libro che mi ha dato. Bellissimo, non è nemmeno troppo difficile.”
“Martin Fierro. Già già. E’ molto argentino, per essere nella biblioteca di mio marito.”
“Eh, ho visto che ci sono più libri in inglese e francese che”
“Lei non legge l’inglese?”
“Sì. No. Lo leggerei, ma fino a che sono qui”
“Già.”
La conversazione è finita all’improvviso. Dona Angelica si volta verso il patio. Nonugo non si muove. La guarda camminare e gli viene in mente la lumaca della fata turchina, con quella schiena curva e la gonna che sfiora le erbe ancora alte ai lati del sentiero. Aspetta coi muscoli che gli guizzano nelle braccia, quando finalmente la vede scomparire dentro casa si decide a posare vassoio e bicchiere sul tavolo del patio. Si mette a correre per niente intorno al prato, raccoglie la falce e ricomincia a tagliare di lena. La flemma di questo paese non gli appartiene.

5

In quegli anni in Argentina Nonugo si era creato una fissazione: l'enciclopedia Britannica. Aveva giurato a se stesso che l'avrebbe avuta non appena tornato in Italia, e so per certo che aveva mantenuto la promessa. Quello che non so è l'uso che ne aveva poi fatto, i volumi sembrano intonsi. Aveva consultato molto quelli di dona Angelica, più che per curiosità scientifica a causa di un incontro particolare, ma non era la stessa edizione. Non credo.
La prima volta fu ancora una domenica pomeriggio. Dopo la potatura di un tralcio di ibisco che pretendeva di entrare nella finestra di cui avrebbe dovuto fare cortina ornamentale, dopo la consueta spremuta di limone zuccherata, invece di filare in camera Nonugo si trattenne nel patio con le mani in mano. Il profumo d'erba tagliata, la brezza che prometteva di rinfrescare la serata gli mettevano addosso una mollezza di spirito che non riusciva a riconoscersi. Spostava gli occhi da un crepa sul muro all'orizzonte della siepe di cinta, al di là del prato, del sentiero di sassolini, del cancello di ferro battuto e poi ancora al muro senza risolversi a entrare in casa, o almeno in biblioteca. Dona Angelica si dondolava quieta sulla sua poltrona di vimini intrecciato, apriva il ventaglio cinese e lo chiudeva, lo poggiava in grembo e subito dopo lo riprendeva. Un moscone volava intorno alle rose tagliate e disposte con arte in mezzo al tavolo, si posava un attimo interrompendo il ronzio e subito si rimetteva in moto come se fosse insoddisfatto, o come se stesse cercando qualcosa di preciso sui petali gialli screziati di arancio o sulle foglie o sul cristallo del vaso.
Tre persone si presentarono al cancello. Un uomo con un panama in capo e due donne.

(continua, forse prima o poi)




Commenti al Post:

Le avventure di Nonugo - una storia a metà




lontradelbosc il 16/07/11 alle 19:46 via WEB
Allora è proprio come ho sempre pensato di essere nata in un posto più vicino al medioevo di qualsiasi altro. Non ho l'età di Nonugo, ma ti assicuro che certe faccende te le potrei raccontare di prima mano, tipo quella di mettere il vino nel brodo di gallina che si prendeva ben caldo alla fine del pranzo di una festa, perchè "lavava" lo stomaco aiutando a digerire tutto ciò che si era mangiato esagerando un po' come solitamente si faceva nelle feste. Io ero piccola, essendo nata tardi nella famiglia, tantè vero che i nonni non li ho conosciuti, ma c'erano altri parenti più grandi che io osservavo incredula e un po' inorridita versare nel brodo del vino fatto in casa, che tra l'altro portava uno strano scompiglio tra gli occhi galleggianti del brodo. Io osservavo allungando un po' il collo, ma tenendo il corpo scostato per timore che qualche goccia di quell'intruglio andasse a rovinarmi il vestitino nuovo. Aveva un odore che riconoscerei ancora oggi, e il gusto lo so perchè la mamma riusciva sempre a convincermi ad assaggiare qualsiasi cosa, anche solo una goccia, che tanto non ti fa mica morire... Il fiore giallo che diventa soffione è il dente di leone del tarassaco, un'erba depurativa, infatti in primavera le donne ("col culo alto", ah ah!)andavano a raccoglierlo nei prati per preparare insalate crude e cotte o metterlo nelle minestre verdi. Ma guarda un po' Nonugo il dandy, con i suoi pugni che parlavano una lingua universale, ne ho conosciuti di tipi cosi', e a pensarci mi vengono in mente anche storie di gente di qua che emigrava nelle americhe, senza più tornare, ma anche si'. Ciao parente d'acqua!

LaDonnaCamel il 16/07/11 alle 21:31 via WEB
Eh, lo sai che queste storielle mi sono girate in testa proprio a partire dai tuoi commenti in altro blog, come le associazioni di idee di cui parlava il padrone di casa: storie sentite e un po' immaginate, storie inventate e storie vere mischiate. Ciao Lontra, sempre benvenuta.

excerptum il 21/07/11 alle 15:44 via WEB
vai avanti ché la tua mi sembra una buona vena; ps sono presente a metà ma leggo tutto se ne vale la pena (rima involontaria, pessima metrica); pps è uscito lion menomale che non si nutre di lontre :)

LaDonnaCamel il 21/07/11 alle 19:09 via WEB
Graz, sempr tropp buon con me!
(son lion pure io, quasi quasi esco che magari lo incontro, chissàmai :)

 

 


amicoMM il 02/05/12 alle 20:50 via WEB
E poi? E poi? Non ci lascerai così, in trepidante attesa?
Non vedo l'ora di sapere cosa succcede dopo...anche se ho il sospetto che i 3 cerchino il moscone ;)
Brava pregiatissima Signora LaDonnaCamel; applauso!!!

LaDonnaCamel il 03/05/12 alle 10:34 via WEB
Eh, poi, poi. La fa facile lei. Chi lo sa cosa succede poi?
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