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La user experience delle cucine a gas

 

La prima volta che ho visto un robot vero, dal vivo (per modo di dire), è stato quando ho visitato con mio fratello Alfredo lo stabilimento della Ignis a Cassinetta di Biandronno e la user experience era una cosa che non esisteva ancora.

La Ignis, non ancora Whirlpool, era un nostro cliente. Vendevamo i telai serigrafici per stampare sugli elettrodomestici, le cucine a gas, le lavatrici, i frigoriferi. Vendevamo anche gli inchiostri serigrafici e in qualche caso le macchine. Era un cliente importante e ogni tanto bisognava andare a trovarlo, di quella visita ricordo la neve sporca ai bordi della strada e la centoventisette bianca, quello che non ricordo è se avevo guidato io o lui, ma di certo ci sarà stata una sosta per caffè e sigaretta.

Quando Lucio Bianco si era licenziato per aprire una ditta uguale alla nostra e aveva dichiarato che avrebbe portato via con sé tutti i clienti, mio fratello aveva dovuto accollarsi la responsabilità del reparto. Conosceva il lavoro e sapeva con certezza che non gli piaceva, ma questo era irrilevante, non importava a nessuno. Era un periodo, quello là, in cui non era ancora stata sdoganato il diritto alla felicità, si dovevano fare le cose che ti erano state destinate anche se non ti piacevano, non c’era un modo non violento di sottrarsi.

Il Bianco non era poi riuscito a portarseli via tutti tutti, quelli grossi devono seguire certe procedure burocratiche interne, servivano anche solide referenze, reputazione, avviamento. Però bisogna ammettere che noi si arrancava, non era più come prima, il fatturato calava, diciamo pure che si era aperta una voragine. Provavamo a fare pubblicità sulle riviste di settore - una mia idea il fotomontaggio di un biglietto da cinquemilalire sul telaio, la scritta tipo: investi nel tuo lavoro, una macchina per fare soldi o qualcosa del genere, mi ricordo solo che la foto l’aveva fatta mio fratello, c'ero io che tenevo il telaio in mano ma mi si vedevano solo le gambe.

Improvvisavamo, facevamo anche campagne per posta, direct marketing si chiama adesso, avevamo una serie di targhette con gli indirizzi in rilievo che si potevano stampare sulle buste usando una macchinetta, scrivevamo lettere col ciclostile, forse le facevamo fare in copisteria o in tipografia, questo non me lo ricordo, so invece come andava a finire: piega, imbusta, attacca il francobollo, ti ricordi Marisa? Mio padre era contento e ci dava i soldi dei francobolli, pagava anche il tipografo o la copisteria, noi portavamo alla posta questi scatoloni pieni di lettere col timbro STAMPE ma non ci rispondeva nessuno, per quanto il mercato fosse in espansione i clienti andavano tutti da Lucio Bianco, se li era intortati bene lui. Mio padre non gli aveva nemmeno fatto causa e noi respiravamo un senso di ingiustizia, era un compito impossibile fin dal principio, un fallimento annunciato, ma allora perché non investire in una cosa diversa?

Arrivati a Cassinetta ci avevano fatto entrare con la macchina, ora che ci penso so che guidavo io, il gabbiotto all’ingresso ricordava quello che c’è all’ospedale di Niguarda, e poi mio fratello mi diceva gira di qua, gira di là, sapeva muoversi dentro i vialetti del cortile che era grande come un parco. Mentre fumavamo l'ennesima sigaretta davanti alla macchina, prima di entrare, mi aveva detto dei robot. Chissà cosa mi aspettavo, ero una lettrice di fantascienza e questa storia mi aveva incuriosita, pensavo a Asimov, immaginavo umanoidi di ferro giganti che controllavano la produzione con l’occhio vitreo di una telecamera o almeno strutture tentacolari con mille braccia meccaniche che avvitano mille bulloni contemporaneamente, come polpi d’acciaio intelligenti dalla forza sovrumana che moltiplicano per enne i compiti svolti con precisione micrometrica, senza sbagliarne uno.

Il robot era come un trapano o una fresa con intorno una catenella per non avvicinarsi, non era tanto grande e non aveva braccia snodate con pinze a forma di mano, sembrava una macchina utensile di quelle che avevamo in officina anche noi, quelle che producevano riccioli di metallo lucente come l’argento che andavano a riempire bidoni da buttare via. Non assomigliava al robot che ho poi avuto davvero, un aspirapolvere che andava da solo in giro per la casa che ci vuole più tempo a svuotare il comparto del ruffo che a fare il lavoro all'antica con scopa e paletta.

L’hai visto? aveva detto mio fratello sporgendo il mento per indicarlo, con quel sorrisetto da prendere in giro che aveva sempre.

Mavà? È quello lì? mi ero fermata a guardarlo a bocca aperta, come un paesano che va in città e non come la cittadina, che in effetti ero, che va in un paese. Era tutto il contrario della mia idea di robot, roba da non credere.

Poi l’ingegnere ci aveva portato in un ufficio a vedere i disegni che dovevamo portare a casa per le nuove referenze: un po' di lavoro da fare per tirare avanti. Abbiamo fatto infiniti telai come quelli, per stampare le fiammelle vicino alle manopole delle cucine, le decorazioni sullo sportellino delle uova dei frigoriferi, le centrifughe sui comandi delle lavatrici, abbiamo venduto tonnellate di inchiostri che purtroppo venivano via se lavati con i detersivi efficaci, era così anche da prima quando c’era Lucio Bianco e non è cambiato nemmeno dopo, quando mio fratello è morto e noi abbiamo chiuso il reparto, abbiamo provato a mandare avanti la ditta ma non siamo riusciti, siamo stati spazzati via.

La mia ultima cucina è quasi nuova e di marca Whirlpool, non ha più di tre anni ma ha già perso tutte le fiammelle e bisogna indovinare per sapere quale manopola azionare, per fortuna che la user experience delle cucine a gas è diventata un fatto culturale innato e non servono le istruzioni. Quando ci penso mi viene un sorriso di tenerezza, chi lo sa chi è che gli vende gli inchiostri serigrafici oggi, e i telai. Sarà ancora Lucio Bianco? Non sono mai stati capaci di far restare attaccato il colore, si vede che le tradizioni che portano avanti certi errori sono più forti di tutto. Invincibili.

 

 

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