testata camel

Spoiler! ti dico subito come è andata a finire questa storia: i cinque sensi sono un bello steccato da mettere intorno al prato dove far pascolare scrittori in erba, noi abbiamo pascolato e  abbiamo scritto, più io lo mettevo in alto e più loro la facevano bella, così è andata a finire che abbiam fatto un libro vero davvero. Il libro è ancora qui da vedere, la copertina è bellissima, noi ci siamo divertiti tutti e se lo leggi forse ti diverti anche tu.

lo steccato per parlar dei cinque sensi cominciamo dal naso

Il primo senso è il naso: il bandolo

Sniff sniff ma che cos'è questo odorino qua, ma che buono che è, ma che fresco ma che caldo ma che appetitoso ma cosa sarà.

Va bene, mi sono sgamata da sola: ho intenzione di lanciare a spron battuto una serie di EDS basati sui sensi. Qualcosa che, poi, chissà. Cinque sensi ma forse anche sei o sette, il sesto senso essendo uno di quelli più importanti per la scrittura e il settimo vedremo quando sarà sarà.

Per adesso scriviamo un raccontino dove il naso ha una rilevanza centrale, difatti sta proprio al centro di quasi tutte le facce, e gli odori soprattutto ma non solo.

(omissis)

Il paletto che ci metto, il Venturi de noialtri duri e puri, per addensare la materia fluida e renderla formidabile, per sciogliere le dita e far dolce la salita è questo qua: la storia che stai per raccontare deve essere ambientata non meno di 50 anni fa, quindi prima del 15 febbraio 1963, quando tra l'altro ancora non era uscito nessun disco dei Beatles: ci puoi credere? Documentati su internet, sulla treccani, chiedi a tua nonna, fai come vuoi e datti da fare: buon lavoro!

(Per chi si fosse collegato per la prima volta, ricordo pleonasticamente che l'EDS è un esercizio di scrittura che ciascuno pubblica nel proprio blog seguendo le regole date, la consuetudine vuole che tu citi con link gli altri partecipanti, così gli altri partecipanti citeranno te. Non si vince niente. Ma non si perde nemmeno niente. Oplà.)

Il mio racconto: La puzza

Le aveva alzato la sottana e l'aveva spinta a faccia in giù sui sacchi della farina. Rosi non aveva nemmeno urlato, aveva appoggiato la guancia sulla iuta ruvida - le erano poi rimasti dei graffi - e aveva respirato forte. Il padrone le teneva i polsi dietro la schiena con una mano e con l'altra si apriva la strada dentro di lei. Rimase ferma e buona senza dire niente, aveva paura e poi non sapeva. Aveva respirato solo un po' più forte quando, con un colpo secco, le era entrato dentro fino in fondo. Non aveva urlato, aveva sentito uno strappo e aveva morso l'orlo del sacco, lasciando che le lacrime le riempissero gli occhi.
Il padrone le alitava nell'orecchio e sapeva di tabacco e di sudore e anche di polvere e di polenta. La teneva giù in ginocchio spingendola forte in mezzo alla schiena, a ogni colpo le faceva sbattere la testa contro il mastello della brovade, l'odore delle vinacce usciva a fiotti e le venivano le vertigini.
Quando lui era andato via si era alzata piano e aveva pulito il sangue col fazzoletto bagnato di saliva.
Quella notte, mentre tutti dormivano era andata in cortile, aveva preso un secchio d'acqua e l'aveva portato nel sottoscala dove c'era il suo pagliericcio. Si era lavata pezzo a pezzo con il sapone della domenica, la puzza le dava la nausea.
La puzza era dentro il retrobottega, un budello stretto e lungo, senza finestre, solo una lampadina polverosa illuminava malamente le merci accatastate e vi stagnava pesante. Era unta di forme di formaggio messe in fila a stagionare, era umida di muffa negli angoli e sul pavimento di terra battuta, era soffocante per la farina di polenta, ma anche dolce di origano secco e lavanda. E acida per il tino della brovade che aveva un coperchio pieno di crepe e chiudeva male e lasciava uscire i fiati della fermentazione. Il tino era accanto ai sacchi della farina della polenta, quella gialla macinata fine e quella bianca da mischiare insieme. C'erano i sacchi aperti, messi su in piedi con l'orlo arrotolato in alto e la paletta del misura ficcata dentro. Di fianco c'erano i sacchi interi, coricati e ammucchiati uno sopra l'altro che sembravano guanciali, o i materassi della principessa del pisello. Così era sembrato a Rosi la prima volta che era entrata lì.
A tredici anni era andata a servizio in paese come cameriera, i padroni avevano detto così ai suoi genitori su ai Musi, ma già dalla prima settimana aveva capito che la maggior parte del lavoro sarebbe stata in negozio. Dopo aver spolverato i mobili di legno scuro del salotto al primo piano, che comunque restava sempre chiuso, e aver rigovernato le tazze della colazione, Rosi doveva scendere nella bottega dove si vendeva qualsiasi cosa. Il cortile era ingombro di scatole, ceste e fagotti, toccava a lei portarli dentro e sistemarli negli scaffali del retro. Ogni giorno aveva la sua prevalenza, al sabato vendevano la mostarda per il lesso della domenica sera, al venerdì la lisciva per le pulizie di fino del sabato, il lunedì la farina per il pane della settimana. Invece la farina per la polenta tutti i giorni. Vendevano la merce sfusa pesandone le quantità richieste con la bilancia a due bracci e l'avvolgevano in cartocci e involti di carta oleata.
La mattina dopo la puzza era ancora sui vestiti, nei capelli, dappertutto. Rosi rubò un limone dalla cesta e lo nascose nella tasca del grembiule. Quella notte, quando tutti dormivano, andò in cortile e prese un secchio d'acqua, lo portò nel suo angolino e lavò le mutande, le calze, la sottoveste. Lavò anche la maglia di lana e si strofinò il limone sulle braccia e sulle gambe, da tutte le parti di sopra e di sotto anche se bruciava, si era riempita di vesciche.
A mezzogiorno la padrona le dava la polenta e il radicchio e il formaggio. Il mangiare non glielo faceva mancare perché aveva paura che le rubasse, pensava che se aveva la pancia piena teneva le mani a posto. Alla sera le dava la minestra con le erbe. Era di più di quello che mangiava a casa sua, quando era scesa dalla montagna era secca come una scopa di saggina, adesso le si erano impienite le cosce e sul davanti faticava a chiudere i bottoni del grembiule. Si era accorta che il padrone la guardava, ma non sapeva.
Quella sera aveva preso la bottiglia della candeggina e l'aveva messa da parte. Poi, nella notte, quando tutti dormivano ne aveva versato un bel fiotto in un secchio d'acqua e con una pezza si era lavata tutta, i piedi, le cosce, la pancia e le ascelle, i capelli. Si era lavata sotto e sopra e aveva lavato di nuovo nel secchio tutti i vestiti. Li aveva stesi contro la stufa, chissà mai che la legna profumata di bosco andasse a coprire la puzza.
I vestiti si erano sbiaditi ma la puzza non andava più via. Era arrivato l'inverno, aveva provato la lavanda, la menta, si era sfregata con l'alcool delle punture, aveva messo la segatura nel letto ma non serviva a niente. Se la sentiva addosso e le dava la nausea, alla mattina, quando entrava nel magazzino le venivano i conati di vomito, si tappava la bocca con la mano per ricacciarlo indietro e le si riempivano gli occhi di lacrime. Il padrone faceva finta di niente. Lei teneva gli occhi bassi come aveva sempre fatto e gli girava al largo ma ne sentiva la puzza da lontano e le veniva da svenire.
Difatti, una mattina svenne proprio, lunga e distesa. La padrona le aprì il grembiule per farla respirare e si accorse della pancia. Si mise a gridare, la insultò e la cacciò via a bastonate.

(La storia sarebbe finita qui ma non ho cuore di piantarti in asso. Non so chi diceva che la differenza tra le storie e la realtà è che le storie hanno un inizio e una fine mentre la realtà fa come cazzo gli pare e spesso sono i buoni quelli che perdono, anche se non se lo meritano. In questi casi sembra che tutto sia stato preparato per convergere in una tragedia, per quanto non voglio fare la morale e quel che è stato è stato, ora non è più così e speriamo che in futuro vada ancora meglio.
So che lo sai e per questo approfitto dell'onnipotenza del narratore per donare a Rosi un finalino meno peggio ma non ti abituare, la prossima volta potrebbero essere solo mazzate.)

Sola e senza più un lavoro, tornò in montagna dai suoi genitori dove l'aria era più fina.
Aveva buttato via il grembiule e la sottoveste, si era rapata i capelli, si era rotolata nella neve e ancora prima che nascesse il bambino, senza sapere come e perché, la puzza era miracolosamente sparita.

I miei commenti con i link ai racconti dei partecipanti, molti funzionano ancora.

L'eds è finito e non sembra ci siano ritardatari, posso dichiararlo chiuso.
Abbiamo parlato dell'olfatto, il più antico dei nostri sensi e anche quello che la civiltà ha degradato in modo più significativo. La stazione eretta e la capacità mimica della specie umana hanno spostato molte funzioni sociali sulla vista e adesso la maggior parte degli animali è più brava di noi con il naso, (esclusi quelli che lavorano in borsa ma questo è un altro libro). Quel che riescono a sentire gli insetti, per esempio, è incommensurabile se paragonato a noi: una molecola odorosa viene riconosciuta a chilometri di distanza tanto quanto i calzini di ieri del nostro figlio adolescente - son questioni di sopravvivenza.
Eppure qualche tipo di effluvio odoroso riesce a scatenare emozioni e ricordi belli e brutti anche negli esseri più civilizzati che siamo diventati, basta poco per evocare reazioni simili - o paragonabili - in ciascuno di noi. Il cibo, il sesso, la decomposizione della materia, la morte.
Il tema che, ricordo, doveva ambientarsi almeno 50 anni fa, ha ispirato parecchio e mi sembra siano state toccate vette notevoli, mi complimento con tutti. Bravi!

S.Sebastiano di Dario

"volte nella giornata ci ho come dei sogni che mi sembra di sentirlo lodore del pane che fai tu o quello delle pecore mentre le porto nelle campagne ma poi marrusbigghiu e insomma ho solo sognato che se non sto attento rischio anche di cadere."

Il profumo del pane fresco evoca la casa e la mamma, sia quando è reale sia quando viene immaginato per cercare una consolazione dell'assenza. Dario ha risposto presto e bene con il suo stile scarno e la sua capacità di far vedere le scene raccontate, sa far venire la nostalgia di casa anche a chi non si è mai mosso.

Terre lontane di Melusina

"E soprattutto distinsi, dal marasma stordente che impaniava quel corpo derelitto, gli innumerevoli odori che ne componevano la varietà. La salsedine degli scafi di legno, l’afrore delle stive e dei postriboli del porto, le spezie multicolori dei mercati, la frutta matura sui muretti bianchissimi al sole, gli aromi degli erboristi e dei maestri profumieri, gli incensi delle liturgie, le pietanze piccanti vendute per le strade. E accanto a queste fragranze così esotiche e seducenti, e intrecciate a esse, ecco anche i fetori della guerra, il sudore dei cavalli, il puzzo della paura dei combattenti, quello dolce e ferroso del sangue vivo, o asfissiante delle ferite infette e dei corpi bruciati, e poi la putredine dei lebbrosi, i miasmi della dissenteria, il tanfo dei lazzaretti, delle prigioni, delle carcasse di animali ai cigli delle strade polverose."


L'abbian detto tutti, quando i professionisti si mettono a giocare non c'è scampo per noi dilettanti. La prosa di Melusina è sontuosa, non mi viene un aggettivo più appropriato. E anche generosa, ricca, senza risparmio: dice che ha sbrodolato? Magari! Ne vogliamo di più, ancora! Esonda! Straripa! Allaga! Fai l'acqua alta e abbasso il Mose!


Ucci ucci di Hombre

È tutto il contrario di come la raccontano, te lo dice lui, Hombre, come si sono svolti i fatti. E la storia era quella solita ma lo stile, oh, lo stile no, lo stile è speciale, è vero, è antico, è la commedia dell'arte, è pinocchio e tutti i suoi discendenti, i suoi figli e i suoi nipoti. È mia nonna e le sue sorelle.

"- Sento odor di cristianucci - urlavo, e Helga che mi reggeva la parte:

- Ma no, cosa dici? Sarà la tua minestra di farro.

Ah, il farro! Ve l'ho detto che adoro il farro? Santiddìo, adoro il farro. Camperei di farro.
È andata così che l'abbiamo guasi dimenticata la nostra pena grande e quando ci guardiamo negli occhi, io e Helga, con la casa fitta di bimbetti nascosti, scopriamo che non è male nemmeno così."


Odori di ricordi di Lillina

Lillina ci porta a fare un giro per le vie del suo quartiere, facendo una passeggiata a cavallo degli anni, e pure io che non sono mai stata più a sud di Roma - se si escludono le isole eolie che non fanno testo, riesco a sentire i profumi di zuppa all'aglio che escono dalle cucine nelle viuzze, dei pomodori stesi sui graticci di canne intrecciate, del pane fatto nei forni all'aperto. Aspetta, ma come sono fatti i forni all'aperto? Questo non lo so, riesco al massimo a immaginarmi un barbeque!

"Vorrei potervi portare con me a spasso nei pomeriggi d'estate, in cui l'aria è pregna dei profumi più svariati, i pomodori e fichi stesi a seccare al sole su "catrizze" di canne intrecciate, i fichi messi a bollire per ricavarne il miele, da stendere poi sulle frittelle. E poi i pentoloni di rame in cui le donne bollivano la cenere per lavare i panni al fiume o nei solchi che portavano l'acqua ai campi."

Per completare il lavoro ci mettiamo il compleanno del nonno, questo post  non parteciperebbe all'eds ma io ce lo metto perché ne è il naturale completamento. E auguri al vecchietto superultranovantenne!

L'abbondanza di cozze - Fevarin e carnazza

(messaggio di servizio: se continui a cambiare il link non so più se funziona ma ci provo.)
La vulva del mollusco e il mollusco della vulva, l'odore, il sapore, le virgole, le vongole, le cozze, i cazzi. Va bene, qui nessuno si scandalizza se mancano le virgole, siamo sperimentali e postmoderni, siamo poeti maledetti ma i cazzi no.

"Cosi’ come poche ore dopo non aveva mai visto una vulva cosi’. Bionda curata profumata. Dopo l amplesso leccandole la schiena dal sudore le disse “Fai l’amore come qualcuno che unisce cielo e terra”. In realtà facevo lo spavaldo ma si cacava sotto. Perchè a 20 anni lui era un uomo e un bambino. Era la sua prima volta. Aspetto’ perchè voleva che quella volta fosse speciale importante."


L'odore della SIPE di Pendolante


"Ma il suo odore, quello si. Tra i capelli, sul torace, persino nei piedi sentiva l’odore della nitroglicerina, dell’acido solforico, di quello nitrico. Ormai li distingueva meglio di un chimico, ma soprattutto sentiva l’odore della paura. La paura di Luigi ma anche la sua. E non ci trovava più niente di eroico. Ogni volta che varcavano assieme il grande cancello della SIPE si salutavano con il terrore negli occhi."

Non c'è niente di eroico in tutto questo morire, mi verrebbe da aggiungere. Eppure è ancora così e spesso i responsabili non la pagano nemmeno tutta, come si è visto recentemente con la sentenza Thyssen. Brava Pendolante, hai espresso con molta verità il concetto, tenendolo basso senza perderti nella retorica. Mi hai fatto venire i brividi.

Sempre di Pendolante ci metto anche questo,  era già stato scritto ma vien buono come variazione sul tema.

"Questi gli odori di una giornata, ma altri e vari se ne possono trovare perché se è vero che il nostro olfatto è spesso tiranneggiato dalla vista, è certo che nel viaggio di un pendolare l’odorato viene sollecitato spesso, anche quando ne farebbe volentieri a meno, tanto che lo spostamento verso il lavoro diventa anche itinerario  olfattivo che le stagioni variano di poco, semmai enfatizzano."

Profumo di marsiglia ancora Lillina

"Quando tornava a casa  riempiva la vasca da bagno con acqua bollente e si lavava, ne usciva fumante con la pelle arrossata che odorava di marsiglia, gli occhi lucidi e un po' tristi tornavano ad essere rivolti al futuro. Intanto il caffè che stava uscendo, inondava la stanza di un aroma inebriante che lo scosse dal suo pensare."

Questa volta Lillina ha tratto molti e buoni frutti dall'eds, son veramente contenta di questo flusso inarrestabile, si vede che si è aperta qualche valvola di sicurezza e la pressione ha fatto uscire le storie. A questo servono gli eds, no?

Il profumo del rinnovamento di Mai Maturo


"Qui da noi si è votato e, questa volta, non ho seguito il tuo consiglio: ho scelto senza tapparmi il naso e non ho dato il mio voto alla Democrazia Cristiana.
Non criticarmi, ti prego: non è stato facile per me, che fin da piccolo ho respirato incenso e salmi."


Tapparsi il naso per votare è un'espressione vecchia della prima repubblica ma ritornata attualissima nelle ultime settimane e Mai Maturo, con il suo solito tempismo ha approfittato del momento cruciale per declinare eds e attualità: spregiudicato!

Odore della domenica di F.


 “Poco!”, urlò lei dabbasso e  Mario rimase col tappo dalla bottiglietta del profumo in mano. Ne versò solo due gocce sul fazzoletto.

Guarda questa scena come ti immerge, in due righe, nel rituale di un rapporto consolidato, la certezza di lei che "sa" cosa sta facendo lui, anche se è al piano di sopra e non può vederlo, perché tutte le domeniche è così, e ci puoi giurare che tutte le volte lei gli urla e lui si ferma col tappo in mano. Una sintesi precisa e piena di significato, anche se magari non ci sei stata troppo lì a pensarci e ti è venuta naturale: anche per gli odori, si vede che l'occhio che guarda fa la differenza.
Son contenta F. perché hai espresso il meglio del tuo stile minuzioso e pacato fotografando in poche righe la situazione, i personaggi e il contesto di un'epoca. Difatti gli applausi, meritati. (F. è una amica dei laboratori di scrittura. Era un bel po' che non ci vedevamo e per una serie di circostanze mi è capitato, la settimana scorsa, di passare vicino a casa sua. L'ho pensata ma non l'ho cercata e la cosa sarebbe finita lì se il giorno dopo non l'avessi incontrata di persona in piazza del duomo, alla fermata del tram. È lì che le ho parlato dell'eds, si vede che le cose devono succedere: detto fatto.)

La puzza di me medesima

Sei proprio una post-moderna, mi direbbe mia figlia.
Sì, perché?

 

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