Ci sono tanti modi per conoscere l'esistenza di un libro ed esserne incuriositi al punto da decidere di leggerlo, chi si fida dei concorsi e chi delle classifiche, chi si fa convincere dalla copertina che occhieggia sul bancone del libraio, chi ascolta i consigli degli amici. Questa volta mi è capitato per caso di leggere sulla bacheca di un amico che l'aveva condivisa questa manifestazione di gioia e l'ho presa in parola:
Non conosco Michela Murgia, o meglio, non la conoscevo, però conosco molto bene la sensazione di amarezza che descrive e il sollievo che certe volte anche una cosa piccola ti può dare, e così sono andata avanti a leggere lo status fino in fondo e ho cliccato sul video - che da quel giorno, l'altro ieri mi pare, è passato da 300 visite a 17000: Me lo sono guardato tutto e mi sono finanche commossa: ma che carino, ma che bella idea tra l'altro, e come l'ha fatto bene e alla fine, dodici minuti di recensione, mi ha convinta. Mi sono procurata il romanzo e me lo sono letto in un fiato. Fichissimo! Io amo la Sardegna per la sua asciuttezza. La scrittura essenziale, secca, quasi reticente che è stata adoperata per descrivere temi forti come la morte e l'amore mi manda in sollucchero, rappresenta l'essenza della gente sarda che ho avuto la fortuna di incontrare. Io adoro le passioni enormi e silenziose, i sentimenti forti e taciuti perché non c'è bisogno di dirli, le situazioni comprese con un'occhiata e invece detesto quei pensierini all'acqua di rose di cui pagine e pagine e pagine, pure scritte bene magari. L'epica mi esalta, le sciacquettature mi deprimono. Olè.
Michela Murgia, Accabadora. Einaudi