Le cose sono le cose

  • EDS Il nome della cosa: C come cioccolato

    Le cose sono le cose oppure, detto come una che se la tira, il correlativo oggettivo.

    Là nel mio vecchio blog (e ora anche qui nel nuovo) ho usato a volte un tag apposito, le cose sono le cose, per mettere insieme un tot di raccontini che sono partiti da un oggetto materiale qualsiasi e, nel migliore dei casi, sono arrivati a esprimere anche altro, spesso oltre le mie intenzioni. Il bello di questo gioco è che i lettori ci hanno visto molto di più di quello che ci avevo messo, ma pure io, alla fine.

    Regole:

    - Scrivi un raccontino sul tuo blog che abbia a che fare con uno o più oggetti materiali di qualsiasi genere o specie: valgono anche cose inventate, zombie, creature soprannaturali o fantastiche
    - Quando hai finito vieni qui a dirmelo
    - Non farla troppo lunga, finiamo entro lunedì 2 aprile alle 22,30.

    - Ah, dimenticavo: il nome della cosa deve cominciare per C. (Troppo facile se no, eh.)

    Il resto come al solito: se non hai un blog o ce l'hai ma non vuoi che lo sappiano in giro, mandami il racconto via mail che ci mettiamo d'accordo.

    il nome della cosa c come cioccolato

    Il mio racconto: C come cioccolato

    Da piccola lo rubavo a mio padre. Lui ne teneva una scorta segreta nel cassetto del comodino. Lo mangiava di notte, non si faceva vedere. Io l'avevo scoperto per caso, stavo cercando Topolino nuovo. Nascondeva anche quello, ma solo fino a che non l'aveva letto lui, poi ce lo passava. Quando uscivano la sera - spesso andavano al cinema o a giocare a carte, aspettavo che la Teresa spegnesse la luce, aspettavo che dormissero tutti e entravo in camera senza fare rumore. C'era quell'odore che sapeva di mamma, se mi concentro posso quasi sentirlo per un attimo, borotalco, acqua di rose più qualcosa che non so definire, forse l'ammorbidente o l'appretto con cui venivano stirate le lenzuola, era un odore che si sentiva solo lì, non ce n'era traccia nel resto della casa. Chiudevo la porta e accendevo l'abatjour col paralume rosa. Aprivo il cassetto e guardavo per ricordarmi come erano messe le cose. Erano tutte tavolette svizzere, le andavano a prendere apposta a Chiasso perché erano più buone, anche le sigarette ma quelle perché costavano meno. Ne cercavo una già aperta, possibilmente fondente, ne prendevo una fila intera per non far capire. La cacciavo in bocca e poi rimettevo tutto a posto, la stagnola e la carta ben ripiegata sotto. La mandavo giù in fretta e tornavo a letto, il sapore mi rimaneva in bocca anche dopo che mi ero addormentata.

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  • Il senso della vista per la scrittura

    il senso della vista per la scrittura

    Vederci bene non serve a niente se non sai dove guardare. Questa è una cosa alla quale non avevo mai pensato perché ci ho sempre visto male, fin da bambina, e per questo non mi sono mai sognata di guardare. Per esempio, le persone. È più facile che riconosca qualcuno dalla voce che dalla faccia e quando mi capita che mi presentino un po' di persone nuove tutte insieme, prima di ricordarmi chi è chi ce ne vuole. Li devo vedere un bel po' di volte, oppure devo leggere qualcosa che abbiano scritto.

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  • Vento

    vento

    Il vento è una delle poche cose che mi fanno paura. Quando è forte, s'intende, molto forte.

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