Di padri e di pesci

Una serie di raccontini ispirati a quella bambina un po' goffa che ero, con la vista corta e la fantasia lunga: sono storie che hanno a che fare coi padri e coi pesci, c'è poco di vero e molto immaginato ma si possono leggere per quello che sono, piccoli memoir senza pretese o invenzioni plausibili e quasi vere. "A pesca con papà" è stato il punto di partenza da cui poi sono uscite altre storie, altri padri e altri pesci, una catena infinita di bozzetti senza trama e senza finale

  • A pesca con papà

    Mio padre ha sempre pescato. Da quando la mia memoria può dare un senso al passato, canne da pesca, cestini puzzolenti, pesciolini vivi natanti nel bidet di casa hanno fatto parte degli accessori di cui era corredato papà.
    Ci sono vecchie foto di famiglia in cui si vede papà che confronta il Dedo con un grosso pesce, tenendolo per coda (il pesce, non mio fratello).
    Comunque era più alto il bambino.

    Leggi tutto

  • Esercizio di scrittura: l'occhio del branzino deve essere bianco

    Mio papà fotografava i pesci come io fotografo i pomodori. È forse un modo di rendere più duraturo l’effimero delle cose della natura, le cose che coltiviamo o raccogliamo o catturiamo. Si vede che vogliamo dare una forma di permanenza agli oggetti prima del processo di incorporazione: tranquillo mi fermo qui, non voglio fare un trattato ma solo notare questa somiglianza. Io fotografo i pomodori e le verzure del mio orto cittadino, se vai indietro su facebook e sul blog, su instagram e nei backup dei miei telefoni puoi vedere le annate precedenti, centinaia di scatti con le più diverse inquadrature per valorizzare al meglio i soggetti: da quando ho cominciato a coltivare mi sono divertita a creare queste belle nature morte e a mostrarle in giro, proprio come faceva mio padre con i pesci. Abbiamo abbinato due passatempi: lui prima pescava e poi fotografava - o si faceva fotografare, non importa - poi sviluppava e stampava le foto nel suo laboratorio amatoriale, aveva un ingranditore di tutto rispetto e credo sia questo il motivo per cui così tante foto dall’apparenza effimera sono arrivate fino a noi. Senza contare che in questo modo si rende più efficace il tipico gesto del pescatore, che con le mani aperte mostra agli amici e colleghi la misura delle prede: con la foto son lì da vedere, son mica vanterie di un bugiardone.
    Io coltivo e poi fotografo e scrivo e pubblico un po’ dappertutto, mi diverto con poco, beata me. Se scrivere è il mio gioco preferito, fotografare è il secondo e ha pure una sua bella utilità, visto che uso sempre le mie foto per abbellire i testi da pubblicare.

    Come questo esercizio di scrittura sui pesci: è uno dei miei preferiti e volevo metterci una foto significativa, mia o di mio padre e invece di andare da mia mamma a cercarne di nuove ho fatto un bel montaggio di quelle che avevo, alcune le ho già pubblicate, altre sono inedite ma rendono meglio nell’insieme che da sole. Non c'entra niente con il racconto, infatti quelli della foto sono lucci o trote, mio padre era un pescatore d'acqua dolce, ma lo so che piace e attira i miei lettori, ho verificato che i testi con le foto di mio padre vengono letti il 24% di più che quelli senza (scherzo, dai!)

    l'occhio del branzino deve essere bianco

    Leggi tutto

  • Fotografia di mio padre

    Gli stivaloni di mio padre erano di gomma verde militare con la suola a carroarmato marroncina. Erano veramente enormi, sia perché lui portava il 45 di piede che in confronto a me bambina era incommensurabile, sia perché erano altissimi, gli arrivavano a metà coscia e quindi erano un po’ più alti di me. Però erano molli e non stavano su da soli, me li ricordo sempre piegati in due o tre. In alto avevano dei gancetti che volendo si potevano usare per tenerli su, come una specie di reggicalze, accessorio che a quei tempi faceva ancora parte del guardaroba di tutti i giorni delle donne: la mamma e la nonna lo usavano e ho fatto in tempo a usarlo pure io per un po’: le prime collant le ho messe in terza liceo; ma papà non li agganciava, non so come ma in qualche modo gli stavano su da soli.
    Qualche volta mio fratello aveva provato a infilarseli ma anche se si piegavano non riusciva ad arrivare in fondo col piede e non poteva fare nemmeno un passo, mica come pollicino che aveva rubato quelli dell’orco e gli stavano a pennello.

    Leggi tutto

  • I piloni sul Ticino

    A Sesto Calende, dove il lago Maggiore diventa Ticino o viceversa, c’è un ponte che collega la riva lombarda con quella piemontese. Accanto a questo ponte nuovo un tempo doveva essercene uno vecchio, che però a un certo punto non serviva più, forse non era adeguato, non era a norma, non lo so perché a un certo punto han deciso di costruire quello nuovo: di fatto due ponti vicini non servono, è evidente, uno va demolito. E così avran fatto, avran demolito il vecchio ponte, avran portato via pezzo a pezzo le strutture metalliche, le travi, le strisce di asfalto. Tutto tranne i piloni. Non so perché han lasciato lì i piloni, che erano dei parallelepipedi di cemento grandi più o meno tre metri per quattro e alti sull’acqua un paio di metri. C’erano degli scalini di tondino di ferro su una delle pareti, non so se li hanno messi dopo o sono sempre stati lì, non riesco a immaginare a che scopo costruire dei gradini sui piloni di un ponte, ma tant’è. I pescatori li usavano per salire sui piloni, che erano quattro o cinque, non mi ricordo esattamente.

    Leggi tutto

  • L'abbraccio

    Immagina una distesa di fiori. Non basta: più fiori, più profumi, più colori: esagera. Macchie gialle di ginestre tra il verde del mirto, macchie blu di gladioli selvatici fin sulla spiaggia, macchie rosse delle unghie di strega che strisciano sulla sabbia fino al mare: la Sardegna in primavera è un giardino inatteso, se ci sei stato d’estate non lo crederesti mai. D’estate è una specie di deserto grigio di elicriso e pieno di polvere e spini. D’estate è tutta ruvida di sole e di vento e le nuvole non stanno mai ferme. Anche il mare d’estate sembra morto: i pesci scappano a fondo, si vede che le onde dei motoscafi fan venire la nausea anche a loro.

    Leggi tutto

  • La freccia nera

    la freccia nera loretta goggi a cavalloQuesto raccontino parte da un errore, infatti l'attore del telefilm la Freccia nera non era Roberto Chevalier e ci sarebbe voluto poco per controllare su internet la corrispondenza delle cose. Ma quella volta forse mi importava di più la spontaneità della narrazione piuttosto che la precisione dei fatti, si vede che per qualche motivo volevo collegare due situazioni che, in effetti, non potevano essere collegate. Adesso non rilascerei più un testo senza essermi documentata della correttezza di ogni citazione e lo raccomando sempre nei miei corsi. È importante anche nella scrittura creativa, perché un riferimento errato butta subito giù la sospensione dell'incredulità, quel patto che si instaura con il lettore che accetta di credere a ciò che sta leggendo, anche solo per la durata della lettura, e questo aumenta l'immersione nel testo e il piacere che se ne ricava. Questo è valido a maggior ragione in un testo non-fiction: che autorevolezza può avere un articolo di attualità, una trattazione tecnica o filosofica in cui sono citati riferimenti sbagliati? Bisogna essere consapevoli che i nostri testi potrebbero essere sottoposti a un pignolo fact- checking: non vogliamo mica fare la figura dei bugiardi, no?
    Con l'occasione faccio ammenda dell'errore: nessuno è perfetto ;-)

    Edit 28 agosto 2017

    Ti ricordi la Freccia nera? Non il libro di Stevenson che comunque era bellissimo e l’avevo letto e sognato quando ero proprio piccola, dico il telefilm in bianco e nero con Loretta Goggi vestita da maschio e Roberto Chevalier anche lui vestito da maschio, ovviamente. Lo trasmettevano a puntate la sera e per vederlo ogni volta erano scenate perché cominciava dopo Carosello e le regole di casa mi volevano a letto, ma io insistevo insistevo e insistevo e di solito ce la facevo.

    Leggi tutto

  • La montagna non mi è mai piaciuta

    Questo è un post di novembre 2016, siccome qui la padrona sono io e mi serviva averlo presto qui perché è il prequel di una storia che si svolge in montagna, ho deciso di portarlo subito invece che aspettare il suo turno. Edit 10 settembre 2017

    La montagna non mi è mai piaciuta e ho smesso di andarci non appena mi è stato possibile, comunque non prima che si completasse la metà della vita che ho vissuto fino a oggi, quindi ci sono andata un bel po’ di volte.
    Ci ho pensato parecchio in questi giorni perché ho letto Le otto montagne, di Paolo Cognetti e ti consiglio di farlo anche tu non appena ti è possibile perché è un libro bellissimo, ma di questo ti parlerò domani.

    Leggi tutto

  • Le anguille con l'ombrello

    Io ne scrivo e non ho mai messo in discussione la verità di queste leggende familiari, solo stasera, per la prima volta, pensando alle anguille con l’ombrello comincio a dubitare che alcune fossero fanfaronate, o barzellette, o che forse avevo capito male io, che per tutti questi anni ho serbato per ricordo un malinteso, un doppio senso mai compreso, cose di grandi interpretate con i carenti mezzi di una bambina che non ha mai perso una certa sua innocenza.

    Potrei documentarmi, chiedere a mia madre o allo zio, che ai tempi, ragazzetto con i calzoni corti, aveva partecipato a quelle battute notturne ma non mi va, dopotutto che importa di come sono andati i fatti? Che poi, della pesca all’anguilla non so nulla, se usassero le canne o i bolentini a mano o le reti, che esche, che ami, piombi a fondo o galleggianti. In qualche modo le prendevano, queste bestiole immortali che mi si dice si dibattano ancora, tagliate a pezzi e infarinate, fino a un attimo prima di incontrare l’olio bollente della frittura. Il fatto curioso è che le mettevano in un ombrello per non farle scappare. Tutto qui? E ti sembra poco? Le anguille sono agili e furbe, si dimenano come da detto proverbiale e passano da tutti i pertugi, son capaci di evadere da un cestino chiuso, da un secchio vuoto, dalla borsa della spesa mentre torni dal mercato, campano senz’acqua, al caldo, al freddo, al digiuno, peggio dei dannati dell’inferno che più morti di così non possono diventare.

    Leggi tutto

  • Lotta globale totale

    lotta globale totale

    Di questa foto non mi ricordo nulla, eppure mi sembra significativa. C’è questo incrocio di sguardi, anzi direi un flipper di sguardi, mio fratello che guarda mia mamma, mia sorella che guarda mio fratello, io che li guardo guardarsi e sorrido come se sapessi. E poi questa disposizione asimmetrica che fa un angolo di quarantacinque gradi precisi, e quella densità morbida di grigi e quei neri, gli scamiciati, i capelli gonfi.
    Chi lo sa cosa ci aveva detto mio padre per farci sorridere così, son sicura che la foto l’aveva fatta lui, era un bravo fotografo, un appassionato e fino a un certo punto se le stampava anche da solo.

    Leggi tutto

  • Mangiasapone

    Imparare la vela a Caprera è una di quelle cose che ha cambiato la mia vita. Un po’ dev’essere stata la Sardegna: prima andavo al mare in Liguria a Cavi di Lavagna e tutto si riduceva a sabbia e acqua. Perfino le conchiglie erano rari piccoli pezzetti che io e mia sorella custodivamo come tesori insieme ai vetrini levigati. Il mare era sempre mosso e freddo, scostante. Come se non fosse vivo, non so: ho un ricordo grigio e tignoso.

    Leggi tutto

  • Mio padre guidava una macchina a pedali

    mio padre guidava una macchina a pedali

    Paolo Cognetti, che è uno che scrive come mi piace e gli do retta, una volta aveva detto che la scrittura non è come il maiale, che si tiene tutto, ma come i crostacei, che si butta via molto per mangiare solo una piccola parte di polpa.
    Negli ultimi anni ho scritto un romanzo e oggi ho deciso di postare qui uno dei gusci che avevo messo da parte, una piccola storia che non è poi entrata nel testo: siccome io non butto via niente la ritiro fuori ancora, anche certi fondi di armadio vengono buoni quando cambia la stagione, oggi fa caldo e forse è l'ora.

    Il titolo "Mio padre guidava una macchina a pedali" l'ho messo adesso, non ho ritegno a confessare che questa storia prende spunto da un fatto vero, ma ci tengo a precisare che c'è stata una elaborazione fantastica, l'invenzione dei personaggi, non solo i nomi, certi tic, le parole e le azioni, insomma è una specie di docufiction: sono o non sono una post-modernista?

     

    Leggi tutto

  • Papà, la metto all'ombra?

    Andavamo in montagna anche d’estate e il posto era sempre il passo dell’Aprica, avevamo affittato una casa per tutto l’anno, era grande e bella, proprio in centro al paese e no, non era quella di Corvi Battista detto il mort di cui ho già parlato in un altro post che ho portato di qua apposta, questa era la casa del medico condotto. Era una palazzina di tre piani con tanti appartamenti, aveva i caloriferi e i doppi vetri, un giardino tutto intorno e un prato grande sul retro per giocare a pallone con le figlie del dottore che erano tre ma non si chiamavano come quelle della filastrocca. Il dottore aveva anche un maschio che aveva giusto giusto l’età di mio fratello e teneva alla juve, mio fratello no. Sai che non mi ricordo a che squadra tenesse mio fratello? Però non importa ai fini di questo episodio che ti voglio raccontare.

    Leggi tutto

  • Seppie senz'osso

    Di questa storia non so molto, mi è stata raccontata tante volte, è vero, ma ero piccola e il ricordo sbiadito.
    Mi è rimasta la ricetta delle seppie, che era l'unica cosa che sapeva cucinare: una grossa cipolla e tanto olio, tagliuzzare e rosolare e poi mettere le seppie a pezzetti, scottare bene e poi aggiungere i pomodori, pelati o freschi fa lo stesso, e lasciare sul fuoco fino a che il sugo diventa marroncino e le seppie tenerelle. Io le assaggio e di solito non ci metto neanche il sale, niente prezzemolo, vino bianco, niente: solo olio, cipolla e pomodoro, il perché lo capirai.

    Leggi tutto

 
Vai all'inizio della pagina

 

Il sistema di gestione dei contenuti Joomla e il software di conteggio accessi installato in questo sito utilizzano i cookies per migliorare le funzioni di navigazone. Cliccando sul bottone arancione avrai fornito il tuo consenso e questo avviso non verrà più mostrato. Se non accetti l'uso dei cookies abbandona questo sito web.