La prima, quella che non si scorda mai, era una cinquecento blu col tettuccio apribile. La guidavo da sola e non avevo ancora la patente. Andavo di nascosto a trovare il mio fidanzato: punta e tacco, scalavo le marce con la doppietta, e raccoglievo autostoppiste su strade tortuose di montagna.
Non aveva sedili ribaltabili, ma un comodo divanetto per due, dietro.
Aveva il sapore della liberta'.
Poi mio padre mi regalo' una seicento bianca e rossa. Sembrava la macchina di topolino. Non mi e' mai piaciuta, quella li'. L'ho venduta a rate a un imbianchino: tre assegni posdatati da duecentomilalire. Era troppo banale e strana, non aveva nessun sapore.
La A112 senape e' stata la prima che ho scelto e pagato con i miei soldi.
Avanti e indietro per i campi di erba medica, con attaccato il carrello e l'aeroplano.
Ha rovistato tanto fango, schiacciato zolle e alzato nuvole di polvere sopra pomeriggi d'estate senza vento, che ancora ne dev'essere ricoperta, la' dove si trova.
Aveva il sapore dell'avventura.
L'ultima, la kadett automatica, e' stata comprata un sabato mattina: lo ricordo molto bene, rapida decisione e incontro fulminate.
Aveva il sapore delle carte di kinder appallottolate e nascoste sotto i sedili. Ha ancora le orme dei piedini di M. acrobata sulla tappezzeria del tettuccio. Quando evadeva dal seggiolino mi lasciava libera una mano per tenerlo fermo. Una macchina forte e comprensiva.
Di quella nuova non so ancora niente. Il sapore, l'odore, la lingua che parlera'. Di certo so che è bianca.
Ti chiedi sempre dov'e' finito il tempo delle vecchie auto, i giorni le ore i minuti i secondi passati insieme.
Qui, ecco dov'e'. Non e' rotolato via. E' proprio qui, davanti a me. Io lo vedo, lo potrei anche toccare.
Le auto non lo so. Probabilmente demolite.