L'algoritmo del paté è una metafora: per forza: il paté è un'arte, non una scienza esatta. Impossibile riprodurre il rapporto stechiometrico degli elementi, nemmeno con la bilancia atomica. Nemmeno controllando temperatura-pressione-umidità relativa. La materia culinaria proviene dalla vita, proprio come la materia narrativa. Una vita un po' meno consapevole, quella delle galline che generosamente hanno donato il proprio fegato per il compimento della sublime miscela. Ma non è detto...
Il risultato è sempre maggiore della somma delle sue parti, ma l'ingrediente fondamentale è l'amore. L'amore che bisogna mettere in tutte le cose, per la migliore riuscita, se no la maionese impazzisce, la torta non lievita, il racconto non convince.
Se volete cimentarvi in questo esercizio di stile, procuratevi 200/300 grammi di fegatini di pollo, mondati dalle loro amare pellicine, e 100 grammi di fegato di vitello.
Un bagnetto nel latte li renderà più soavi, ma se preferite le sensazioni forti lasciateli nature. Una grossa cipolla verrà tagliuzzata e adagiata in una padella larga e accogliente, una foglia d'alloro e un rametto di salvia le faranno buona compagnia, ma solo durante la cottura, perché l'intensità di certi sapori deve essere ambigua come un secondo piano di lettura. Una generosa fetta di burro servirà ad appassire questi vegetali, finché non siano degni di accogliere i fegati, scolati e tagliati a pezzetti. Il fuoco sia dolce e il cucchiaio di legno.
È cotto? Allora aggiungete il sale e buttate tutto nel robot.
Ma non è ancora finita: bisogna metterci il prosciutto cotto, che potrebbe essere cento grammi, e la besciamella. Per la prima esperienza vi concedo quella industriale, che si munge dal parallelepipedo di cartone, ma in seguito, quando non vi accontenterete delle frasi fatte, sono certa che interverrete anche in questa fase del processo per controllarne ogni minimo particolare. Quanta? poca: due, tre cucchiaiate. Come certe descrizioni paesaggistiche, serve per legare, ma diminuisce il sapore.
E poi il burro crudo. Tanto, tanto burro. Il burro è il sistema portante del patè, la sua struttura. Non siate tirchi: almeno 200 grammi.
E ora gira, macchinetta. Trita, mescola, monta.
Ho detto tutto? No, manca ancora un particolare: è solo in questo finale, decisivo momento, che io aggiungo un bicchierino di cognac. Mi piace farlo mentre il magma vitale si contorce e la metamorfosi si compie. Il liquido dorato viene inghiottito, esalando sospiri inebrianti e spiritati.
Non assaggiatelo ora, golosoni: il patè deve essere freddo, altrimenti certi sapori prevaricheranno gli altri e vi sembrerà di avere sbagliato tutto.
Lasciate invece che la vostra opera viva di vita propria. Ciò che è stato è stato. La ricerca della perfezione verrà nella reiterazione dei gesti iniziatici, i particolari verranno resi sublimi con la ripetizione rituale della formula, quando non avrete più bisogno di consultare gli appunti ma l'avrete fatta vostra.
Per sempre
Commenti al post
Midnight_Shadow il 09/11/06 alle 14:56 via WEB
Lo sai che il fegato mi repelle. Ma il tuo patè, soprattutto per come l'hai raccontato, mi fa sempre venir voglia di cambiare gusti :)
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Quando ti senti pronta dimmelo. ;)
(questa cosa qui sopra può sembrare un po' ambigua: non intendo in "quel" senso!!!:D)
lo accompagnerei con un vino bianco, secco, leggermente frizzante
mannaggiatté se lo fai buono! O quanto amore ci metti :*
Ma l'hai vista la data? :-P