testata camel

Come guadagnare con il blog e vivere felice senza far fatica
Durante le feste ho avuto modo di ravanare nella magica scatola delle foto di mia mamma e ho trovato questo bello scatto che mi ritrae felice mentre incasso i proventi ricavati dal mio primo blog.
Come tutti sanno, guadagnare con i blog son capaci anche i bambini, che ci vuole: ti fai fare qualche foto con dei vestiti di lusso e ti fai pagare dalle marche, dal fotografo, dal negozio ma soprattutto da quelli che vorrebbero fare come te e si fanno insegnare come guadagnare con il blog, partecipando ai tuoi corsi di blogging a 650 euro a botta.
Io non ho avuto bisogno di fare i corsi perché, come vedi nella foto, ho imparato da sola molto presto e quando non li guadagnavo me li facevo dare da mio papà, che ha cominciato a darmi la paghetta già alle elementari, la chiamavamo “settimana”. Questa buona abitudine, che si è poi estesa ai miei fratelli, ha avuto origine perché tutti i giorni chiedevo a mio papà: mi dai cento lire? e lui me le dava.

Mio papà, al contrario della mamma e della nonna e della zia mariuccia, aveva un bel senso della riservatezza e rispettava la mia privacy senza mai chiedermi che cosa ne volessi fare. Me li dava e basta. Ovviamente io avevo l’accortezza di chiederli solo una volta al giorno e non di più, anche da piccola avevo per istinto un certo buon senso comune. Cosa ne facevo di quella bella moneta di nichel? Mi compravo la merenda.
Mettiti comodo che ti racconto la storia.

Come guadagnare con il blog e vivere felice senza far fatica

Come tutti a quei tempi andavo a scuola solo di mattina, dalle otto e un quarto alle dodici e quaranta. Alle undici e dieci suonava la campanella dell’intervallo e per quindici minuti potevamo smettere di studiare, potevamo alzarci dal banco e girare per la classe, chi aveva la merenda poteva tirarla fuori dalla cartella.
Le mie compagne aprivano il sacchetto di carta oleata della focaccia, la facevano sporgere come una mezza luna, tenendola per la carta in modo da non ungersi le mani, e la addentavano a piccoli morsi. Chi aveva i biscotti poggiava sul banco l’involto di stoffa preparato dalla loro mamma con un tovagliolo colorato, lo stendeva come fosse una tovaglietta e si apparecchiava una tavola in miniatura, chi aveva la banana la sbucciava solo a metà, tenendola in mano come un gelato. Ma le più fortunate erano quelle che avevano come merenda la brioches della pasticceria Pastore, che si trovava all’angolo della via della scuola. Erano farcite di crema pasticciera e ricoperte di zucchero a velo, erano morbidissime non solo nella parte centrale, come normalmente succede, ma perfino nei due cornini che erano teneri e mai secchi come nelle brioches di bassa qualità.
Io non avevo la merenda, per qualche motivo che non è mai stato appurato, mia mamma era contraria, non l’avevo io e nemmeno i miei fratelli, sia chiaro.
La Teresa, che ci preparava al mattino e ci accompagnava a scuola, aveva l’ordine di non mettere nessuna merenda nelle nostre cartelle.
Come spesso succede, per mia buona sorte tra le mie compagne c’erano quelle generose, sempre disposte a spezzare un angolino della loro focaccia per darlo a me. C’erano anche quelle ingorde, si capisce, che dicevano di no voltandomi le spalle e quelle inappetenti, che mi davano volentieri anche metà di quello che la loro mamma aveva preparato.
Carmen era piccolina di statura, aveva la frangetta, grandi occhi neri e la sua mamma le dava tutti i giorni la cremonese, che è una specie di pandolce fatto come una piramide a forma di rosa con petali grossi e tondeggianti, lucido fuori e giallo dentro. Era una merenda piuttosto abbondante e lei non riusciva a mangiarla tutta, le dissi: se tu fai a metà con me della tua merenda ti do cento lire.
Lei disse va bene, e cominciammo questo sodalizio. Io chiedevo cento lire a mio papà, lui me li dava senza obiettare e il giorno dopo mi compravo la mezza merenda: finalmente potevo anche io terminare la mattinata senza sentire il mio stomaco brontolare, potevo tornare a casa camminando con energia invece che trascinarmi con la testa che mi girava per il calo di zuccheri.
La cosa funzionava e sarebbe andata avanti anche più a lungo se la mamma di Carmen, quella ficcanaso, non le avesse frugato nelle tasche, trovando il gruzzoletto che aveva messo da parte. E dove li hai presi, chi te li ha dati, e perché te li ha dati, la mia amica fu sottoposta a un interrogatorio senza avvocato e senza garanzie, non le fu lasciata nemmeno la facoltà di non rispondere.
La sua mamma chiamò la mia mamma e tutte e due chiamarono la maestra: la questione grave era che la cremonese costava 35 lire dal fornaio e io ne pagavo ben 100 per un valore nominale molto più basso: si trattava di una speculazione con dumping al rialzo e qualcuno se ne stava approfittando, la consob non avrebbe mai avallato questo scambio.

Ho provato a spiegare alle mamme che il valore di un bene non è dato dai costi di produzione ma dalla sua collocazione sul mercato: niente, non volevano capirla! Del resto gli iPhone non erano ancora stati inventati. Anche la Teresa non riusciva a capire la mia posizione e mi chiedeva perché non fossi andata direttamente dal fornaio per approvvigionarmi della merce, dato che con una sola mancetta giornaliera avrei potuto mettere in magazzino quasi tre merende. Ma se a scuola mi accompagnava lei, e al ritorno da scuola mi veniva a prendere lei, e tutto il tempo a casa mi badava lei, quando mai avrei potuto andare dal fornaio per rifornire il mio magazzino di cremonesi? Di notte? Ma di notte il fornaio era chiuso, questo lo sapeva anche una bambina di seconda elementare!
La storia finì che la Carmen non potè più dividere con me la merenda e i nostri posti in classe furono cambiati, allontanandoci in modo che nemmeno potemmo più rivolgerci la parola. Anche mio papà fu redarguito e smise di darmi 100 lire alla volta. A dire la verità non mi ricordo la scena ma mi immagino la sua faccia, coi sopraccigli in giù e i suoi occhi azzurri che diventavano liquidi, succedeva sempre quando doveva sottomettersi al potere delle donne che nella nostra famiglia era formidabile, almeno fino a quando era viva la nonna, il capo supremo, colei che tutto sapeva e tutto decideva.

Il mio papà era mite di aspetto ma tenace di carattere: poco tempo dopo fu stabilito che avrei ricevuto un emolumento settimanale, pari a 50 lire al giorno.
L’avevamo avuta vinta noi! Non potevo comprarmi la merenda ma avevo diritto alla mia prima settimana, che ammontava a 350 lire; si trattava di una somma non irrisoria, tenendo conto che Topolino costava 100 lire e le sorpresine dal lattaio costavano 20 lire, per non parlare delle cremonesi a 35 lire.
Di tutta questa storia mi rimase l’abitudine di mettere sempre una buona merenda nella cartella dei miei bambini, e di difenderla strenuamente dagli attacchi dei compagni voraci, scrivendoci sopra il nome con il pennarello indelebile, che diamine.

La storia è finita, mettiti pure scomodo.

La Donna Camel e Twitter

@ladonnacamel

@ladonnacamel

#A11YDays Donato Matturro e Nicola Galgano agli accessibility days all'Istituto dei ciechi di Milano con l'intervento dal titolo Joomla! 4.1 - La nuova versione del CMS accessibile anche in fase di sviluppo
@ladonnacamel

@ladonnacamel

Il cielo della Brianza è grande quasi come il cielo della Norvegia #24aprile
@ladonnacamel

@ladonnacamel

Una piccola forma di immortalità dlvr.it/SMMcrv

Scrivere, giocare

scrivere è il mio gioco preferito

"Scrivere è il mio gioco preferito" il mio motto è piaciuto anche all'amica Freevolah che l'ha interpretato così su Instagram.

Compra il romanzo L'occhio del coniglio
Libro, mobi, epub compra su Amazon e su Lulù

Vai all'inizio della pagina

 

Il sistema di gestione dei contenuti Joomla e il software di conteggio accessi installato in questo sito utilizzano i cookies per migliorare le funzioni di navigazone. Cliccando sul bottone arancione avrai fornito il tuo consenso e questo avviso non verrà più mostrato. Se non accetti l'uso dei cookies abbandona questo sito web.